SULLA VIA DI SANTIAGO

Racconto vincitore come "Migliore Opera" per la MonteCovello Editore

L’ostello in cui si trovava era scadente e semideserto. Seduta sul letto, se così si poteva definire un materasso lercio e senza rete sotto, fissava la luce della luna che dalla finestra proiettava sul muro davanti a lei, come una sala cinematografica arrangiata per l’occasione. Un albero, a pochi metri dalla finestra, frusciava nel vento proiettando ombre sul muro. Adele stava fissa lì immobile da dieci minuti, non sapendo cosa fare. I piedi le dolevano per il lungo cammino fatto per arrivare fino a lì. Sperava, in cuor suo, che le cose si sistemassero per il meglio. Non era forse partita per questo? Non era abituata a camminare, non le piaceva proprio. Scherzando, con la sua migliore amica Natalia, si autodefiniva una pigrona cronica. Tutto il contrario, invece, di Natalia che sognava un giorno di affrontare il cammino di Santiago a piedi. Così, senza dire niente a nessuno, prese il primo aereo per Bilbao e arrivò a Pamplona. I primi giorni chiamò spesso Adele, che seppur avesse sempre pensato di non avere mai il coraggio di fare quello che ha fatto la sua amica, provò comunque un leggero senso di invidia. Dopo il terzo giorno Natalia sparì. Il telefono era spento e i continui messaggi su Whatsapp che Adele le mandava continuavano a rimanere con una spunta soltanto. Non sapeva se preoccuparsi o lasciare che il tempo passasse e non pensarci. Ma porca miseria in questi casi il tempo sembra dilatarsi all’infinito. Le ore sembrano giorni e i giorni settimane. Così Adele fece quello che fino a poco prima pensava facessero solo le persone nei film o nei racconti che amava leggere di Dan Brown, prese uno zaino dall’armadio, ci mise qualche cambio e andò all’aeroporto. Verso l’ora di pranzo si trovava dinanzi alla cattedrale di Bilbao e sotto un sole cocente che non aveva previsto. Per fortuna le scarpe erano comode e adatte al cammino. Si sedette in un piccolo bar e ordinò un the fresco. Poco lontano da lei la statua di Hemingway spiccava tra i pochi clienti all’interno. Doveva essere il Cafe Iruna, Natalia glie ne aveva parlato qualche giorno fa, prima di far perdere le proprie tracce. All’inizio era tentata di chiedere a qualcuno se conosceva la sua amica, aveva tante foto di lei sul cellulare. Ma poco dopo desistette all’idea. Quello era un posto frequentato da centinaia di persone al giorno. E Natalia era una ragazza come le altre, senza niente che potesse colpire chi la guardava. Anche se era bella, apparteneva alla quella categoria di bellezza semplice e naturale. Quel tipo di persona che ti dimentichi poco dopo averla incrociata per strada.

Prese lo zaino e si rituffò nel caldo torrido del primo pomeriggio basco. Arrivò alla stazione dei bus e prese quello per Pamplona. Era pieno di gente proveniente da tutte le nazioni. Persone di tutte le età cantavano, gridavano, guardavano le cartine e progettavano il cammino. Avevano una strana conchiglia attaccata allo zaino, simbolo del pellegrino, e per la maggior parte erano tutti felici e sorridenti. Lei invece, la sua preoccupazione non la abbandonava. Anzi, cresceva sempre più.

Arrivata a Pamplona si rese conto di quello che significava il cammino di Santiago. Lì la città è un alveare di gente in pellegrinaggio. Cosa che non si era resa conto a Bilbao, troppo più grande e turistica. Si fermò a dormire lì, in un ostello della gioventù. Era stremata e cominciava anche a sentire un cattivo odore di sudato dai vestiti. Chissà che bocconcino sarò! Chiese a qualche ragazzo dentro la struttura se conosceva la sua amica ma ricevette solo risposte negative. Si addormentò poco dopo. Un sonno senza sogni. Profondo come solo il mare può esserlo. Al suo risveglio vide che il sole era già alto nel cielo. Guardò l’orologio con una lentezza innaturale e si accorse che erano le dieci di mattina. L’ostello era vuoto. Il suo zaino sparito!

Un ragazzo, che si era svegliato poco prima di lei, la aiutò a cercarlo e a chiedere in reception se qualcuno glielo avesse riportato. Niente, le avevano rubato lo zaino con tutti i suoi cambi e documenti. Non aveva più nulla se non qualche soldo nel portafogli, la carta di credito e il suo cellulare. La crisi di pianto iniziale lasciò spazio al raziocinio. Non doveva perdersi d’animo, non adesso. Il ragazzo, che scoprì in seguito si chiamava Miguel ed era di Saragozza, fece un tratto di strada con lei. Parlarono del più e del meno e in un paio di occasioni riuscì anche a farla ridere. Non facile vista la situazione. Si fermarono ad Estella e presero due succhi in un chiosco donativo. Non aveva mai visto un chiosco che vendeva prodotti il cui prezzo era a libera offerta dei clienti. Miguel gli dette un paio d’euro e Adele ne approfittò per chiedere al negoziante se conoscesse la sua amica Natalia. Niente. Proseguirono verso Los Arcos. Non era bello Miguel, ma aveva l’aria di chi teneva un segreto dentro e moriva dalla voglia di confidarlo a qualcuno. Una persona fidata. Quando arrivarono a Los Arcos avevano raggiunto un grado di confidenza tale da esporre Miguel ad un richiesta che colse alla sprovvista Adele. Le chiese di proseguire il cammino insieme. Non seppe cosa rispondere. Non era partita per affrontare un pellegrinaggio intero, anche se aveva previsto di dover camminare parecchio se voleva sperare di trovare la sua amica.

 

Quella sera non riuscì a chiudere occhio. Seduta sul letto con la luce della luna che proiettava ombre sul muro di un ostello scadente pensò a cosa fare. La testa disse di tornare a casa non appena fosse sorto il sole, ma il cuore intrepido le suggerì di restare. Girò lo sguardo verso Miguel che dormiva silenziosamente al suo fianco. Sorrise, pensando alla sua amica, e tornò a dormire al fianco di Miguel. La mattina dopo l’aspettava una lunga camminata verso Burgos…