IL TRENINO DI CHURLY

Racconto pubblicato nella raccolta 1.000 parole di MonteCovello Editore

Quando il piccolo Matteo stava giocando con il trenino di legno regalatogli il giorno del suo quarto compleanno, sua madre stava seduta sulla comoda poltrona in finta pelle. La televisione accesa trasmetteva immagini di un vecchio film in bianco e nero. Ma lei non se ne accorse perché i suoi occhi erano chiusi. La sigaretta tra le dita della mano destra lasciata penzoloni vicino la moquette, cadde staccando un pezzo di cenere di due centimetri. Il respiro della donna, purtroppo, era cessato parecchi minuti prima. Matteo, dal canto suo, non si accorse di nulla. E come poté, era abituato a giocare da solo durante il giorno, con sua madre che, dopo avergli preparato il pranzo (principalmente a base di pasta riscaldata e quel poco di affettato che non aveva ancora addentato lei), era solita sedersi davanti la televisione e guardare per più di quattro ore consecutive film in bianco e nero e televendite di improbabili gioielli preziosi ad un costo irrisorio. Ma solo alle prime dieci chiamate! Così Matteo si rifugiava nella sua cameretta, chiudeva la porta (per non sentire il rumore della televisione) e si divertiva ad immaginare un mondo tutto suo, dove il suo trenino Churly era animato e poteva parlare. Sorrideva a tutti i suoi passeggeri che accoglieva di volta in volta in stazione e non faceva mai un solo minuto di ritardo. Era davvero un gran bel trenino. «Magari esistessero treni così anche nella realtà, figliolo.» gli disse una volta sua madre, guardandolo con aria di chi la sa ormai troppo lunga e non ha tempo di spiegarlo a chi è ancora troppo piccolo. Abbozzò un sorriso, che non venne percepito da Matteo perché stava di nuovo con la testa china a giocare con il trenino e a fare strani versi meccanici con la bocca. In realtà, nella sua cameretta, aveva cento altri giochi con cui spassarsela, compreso un videogame con una raccolta di giochi arcade, ma il trenino Churly era il suo preferito. Amava passare ore a fantasticare su tutti i possibili paesaggi che Churly attraversava e le persone di tutte le culture che riusciva a trasportare. Così che, quel pomeriggio, quando per l’ennesima volta sua madre gli ordinò di sparecchiare poiché lei doveva accendere la tv, lui ubbidì e successivamente si rinchiuse, come ogni giorno, nella sua cameretta. Il mix tra alcool e le troppe sigarette le provocò quella volta un infarto nel sonno. La sigaretta, ancora parzialmente accesa, tra le dita. Il bicchiere, che fino a poco prima conteneva circa tre dita di Havana Club, ormai vuoto. Il petto immobile. In televisione un giovane John Travolta si stava pettinando una folta chioma di capelli neri.

 Non un lamento, un rumore seppur lieve. Matteo era immerso nella sua storia fantastica da non accorgersi di nulla. Era rimasto solo, dentro casa. Poi, all’improvviso, qualcuno bussò alla porta della cameretta…