Antonio Del Prete finì la sua corsa, se così poteva chiamarla, un attimo prima di salire sul bus 66-6 che lo avrebbe portato al lavoro. Aveva il respiro affannato e gli dolevano le giunture delle ginocchia. Quando era giovane non voleva mai crederci quando gli dicevano che la vecchiaia sarebbe stata una brutta bestia. Una volta, per una corsetta come quella appena fatta, non avrebbe avuto nemmeno un accenno di alterazione del battito cardiaco. Anche solo dieci anni prima, l’avrebbe accusata di meno. E invece eccolo lì, con le mani sulle ginocchia a riprendere fiato e almeno due persone che si stavano alzando per lasciargli il posto. Sembrava ieri quando era lui ad alzarsi. Quando è avvenuto il passaggio? Pensò, ma non riuscì a darsi una risposta. «Si, grazie.» Riuscì ad ansimare sedendosi su uno dei sedili doppi alla sua sinistra. A lasciargli il posto un ragazzo che doveva avere non più di quindici anni, cartella sulle spalle e cappellino del Real Madrid in testa. Ascoltava della musica con gli auricolari e ondeggiava la testa a ritmo. «Probabilmente non l’avrà nemmeno sentita!» A parlare era una signora seduta al sedile accanto al suo. Folti capelli rossi e qualche accenno di rughe a segnare gli anni della giovinezza andati. Benché Antonio conosceva quasi tutti di vista, pendolari come lui, giurò che quella donna non l’aveva mai vista prima. «Credo anche io. Non vorrei fare i discorsi che fanno di solito i vecchi ma... Sono ragazzi!» «Così però sembra come tutti gli altri.» La donna sorrise. Ma lo fece in un modo grazioso, coprendosi la bocca con la mano sinistra e socchiudendo leggermente gli occhi. «Già, ha ragione.» Sorrise anche lui «Comunque mi chiamo Antonio.» «Lory. Piacere di conoscerla.» «Piacere mio Lory. Non ti ho mai visto su questo autobus...» «Perché fai la conta tutti i giorni di chi sale e chi scende?» «No figuriamoci, prendo questo bus tutti i giorni da almeno trent’anni. Non dico che conosco tutti, ma fidati, una donna bella come lei me la sarei ricordata senz’altro.» Fece una breve pausa, poi per paura della risposta che sarebbe arrivata, si sforzò di proseguire: «Di solito vengono bambini o vecchiette che scendono alla fermata davanti la clinica.» Abbozzò un breve sorriso. Vano tentativo di cambiare argomento. «Era un tentativo di corteggiamento, forse?» «Oh no, non ho più l’età oramai.» scacciò l’idea con un cenno della mano. «E se anche fossi più giovane, beh, non sono mai stato un asso con le donne.» «Comunque grazie lo stesso. Erano anni che nessuno mi diceva così belle parole. Anche se goffo, lo apprezzo lo stesso.» La donna accanto continuava a sorridergli e lo fece sentire quasi in imbarazzo. Ma almeno il respiro affannoso era passato e le ginocchia non gli facevano più così male. Almeno fino a quando non sarebbe dovuto scendere per andare al lavoro. «In ogni caso, credo che non avremo più tante occasioni per parlare ancora su questo autobus.» Tentò Antonio di superare l’empasse in cui si era andato ad infilare. «Tra pochi giorni andrò in pensione.» «Cosa?! Beh di questi tempi è come vincere alla lotteria. Si godrà i nipotini finalmente.» «Già...» cercò di tagliare corto lui, abbassando lo sguardo e alzando velocemente le spalle. Il bus cominciava gradualmente a riempirsi per la maggior parte da ragazzini che andavano a scuola. Li riconosceva tutti, e con il tempo aveva imparato ogni singolarità dei loro caratteri. C’era Tommy ad esempio, capelli ricci e apparecchio fisso ai denti. Era quello più emarginato dal resto del gruppo, ma ogni mattina scendeva due fermate prima e aspettava che uscisse la sua fidanzatina da casa. Probabilmente aveva anche ottimi voti, motivo di antipatia da parte di quasi tutta la sua classe. Provava un senso di orgoglio verso di lui. Poi c’erano Andrea e il suo amico, non ricordava il nome. Si chiamano in continuazione “Fratè”. Erano inseparabili e si divertivano a prendere in giro le persone anziane sedute sul bus. Erano quel tipo di persone che, se prese singolarmente, fanno la parte degli agnellini tremanti. Poi ci sono le ragazze. Tra qualche fermata sarebbe salito un gruppetto di tre ragazzine tutte con la coda di cavallo e lo zaino sulle spalle. Quel giorno era venerdì quindi sarebbero salite tutte e tre con la tuta blu della scuola di ballo Flashdance che avrebbero frequentato quello stesso pomeriggio. E per ultimo c’erano i ragazzi come quello che si era alzato poco fa per lasciargli il posto. Non conosceva il suo nome, ma passava tutto il tempo a bordo del bus ad ascoltare musica e non parlare con nessuno. «... Prossima!» «Eh? Come?» Antonio sembrava come appena svegliato da un lungo sogno. «Dicevo, alla prossima scendo. Se mi fa spazio per passare...» «Oddio si, mi scusi signora Lory. Spero di rivederla.» Spostò le gambe per farla passare, tenendo in grembo la valigetta del pc e il quotidiano che leggeva ogni mattina. «Credo che ci rivedremo. Non si preoccupi.» Gli fece un cenno con la mano e scese non appena si aprirono le porte centrali. La vide attraversare la strada e dirigersi verso un complesso di edifici moderni adibiti ad uffici pubblici. Che tipa, pensò. Aprì il quotidiano e si rilassò leggendo le notizie dello sport, passando poi per la cronaca cittadina e cercando un titolo che potesse catturargli l’attenzione nella sezione attualità. Ne trovò uno: Polizia sulle Tracce del “Serial Killer del centro storico”. Dieci morti archiviate in passato come naturali potrebbero essere omicidi. Una squadra speciale della Questura avrebbe trovato un filo conduttore che le lega tra loro. Indagini a tappeto. La vicenda ha tutti i contorni di un telefilm poliziesco. Invece è una storia vera: a Roma si allunga l’ombra di un serial Killer. La polizia lo ha soprannominato “il Killer del centro storico”. In un servizio il telegiornale ha parlato della squadra "cold case" della Questura cittadina, quella che indaga sui delitti irrisolti, analizzando dieci morti sospette avvenute in altrettanti mesi. E dalle indagini sarebbe emerso che c'è un filo conduttore che lega queste morti I poliziotti hanno studiato per giorni e incrociato dati trovando un unico filo conduttore che li attraversa per il luogo in cui sono avvenuti, la dinamica e l’età delle vittime, tutte persone di mezza età di sesso maschile. Così i dieci omicidi sono stati riuniti in un unico faldone dopo essere stati analizzati anche con le nuove tecniche investigative. Delitti imperfetti dunque che sarebbero riconducibili tutti ad una stessa mano, quella di un killer astuto, freddo ma che adesso avrebbe le ore contate. Ripiegò il quotidiano e lo infilò nella valigetta. Lo avrebbe buttato in ufficio. Cominciò ad alzarsi, sarebbe sceso tra due fermate e non era proprio agile nei movimenti. Infatti, come nelle più pessimistiche previsioni, una brusca frenata gli fece perdere l’equilibrio e cadde rovinosamente sul pavimento dell’autobus. Si portò istintivamente le mani in avanti per attutire la caduta e sbatté violentemente le ginocchia a terra. Due signori seduti ai suoi lati lo aiutarono a rialzarsi prendendolo sotto braccio. Quando lo lasciarono vide che aveva le mani sporche di sangue, con alcune schegge dal diametro di pochi millimetri che gli si erano conficcate per metà nel palmo di entrambe le mani. Maledetti ubriaconi notturni, pensò. Scese dall’autobus e ringraziò con un cenno della mano i signori che lo avevano aiutato poco prima. Aveva prestato servizio nel corpo di Polizia per ben trentadue anni. Dapprima come ausiliare del traffico, poi aveva trovato una inaspettata dote come detective che lo spinse a fare il corso di addestramento di due anni. Quando tornò fece una carriera folgorante. A testimoniarlo c’erano i numerosi riconoscimenti appesi alle pareti del suo ufficio. Il detective del Prete. Sebbene non amasse molto le luci della ribalta spesso trovava il suo nome tra le pagine della cronaca cittadina. In un paio di occasioni addirittura in prima pagina. Come quella volta che un giornalista della carta stampata lo aveva tampinato per giorni pur di riuscire a strappargli un’intervista. La perseveranza, in quel caso, portò i suoi frutti. Gli ultimi sette anni, invece, fu relegato dietro quella scrivania. Bella, spaziosa, ma pur sempre una scrivania dentro quattro mura. Fuori dalla porta una targhetta metallica color oro aveva inciso COMMISSARIO DEL PRETE. Un piccolo regalo del questore per dirgli, con eleganza, che era ormai vecchio per le scene del crimine o per gli appostamenti di nascosto. Il colpo di grazia? Lo ricevette circa sei mesi prima, quella fatidica mattina del 5 giugno quando trovò una lettera sulla sua scrivania sempre pulita e spoglia da cartacce. La aprì e quello che lesse era la richiesta, da parte del Corpo di Polizia, di accettare la data di pensionamento come termine ultimo il 31 dicembre dell’anno corrente. Inutili furono i tentativi di far cambiare idea al questore e al personale addetto. Aveva ormai 69 anni e doveva ammettere, ma solo a se stesso, che ogni mattina faceva sempre più fatica ad alzarsi dal letto. Per non parlare di tutte le telefonate nel cuore della notte che lo obbligavano a raggiungere i luoghi del delitto più disparati. Prima o poi sarebbe morto d’infarto. Arrivò nel suo ufficio, buttò il quotidiano che aveva letto fugacemente sul bus, e si sedette di peso sulla comoda poltrona di pelle marrone. Ne seguì un lungo sospiro di sollievo per le ossa che finalmente si riposavano. «Buongiorno commissario.» Dalla porta socchiusa fece capolino il detective Penna. Era un brav’uomo, onesto e che avrebbe fatto carriera lì dentro. In un paio di occasioni avevano anche collaborato insieme, portando a termine una missione chiamata “progetto cani grigi”. Penna doveva avere una certa ammirazione verso di lui, perché da quel giorno non mancava mattina che non lo salutasse sfoderando un sorriso da orecchio a orecchio. «Buongiorno Penna, dormito bene?» «Non c’è male. Il pupo si è messo a frignare solo due volte stanotte. E toccava a me.» «L’ho sempre detto, non te la meriti quella povera donna!» Sorrise mentre provava ad accendere il suo portatile. «E’ lei ad essere fortunata, mi creda.» Tagliò corto il detective. «Ah, dimenticavo. Poco fa ha chiamato quel suo amico, Roby. Ha detto che ha provato a cercarti sul telefonino ma come al solito non hai risposto.» «Veramente non...» Prese il cellulare dalla tasca e si accorse di avere due chiamate senza risposta. «Non l’ho sentito. Lo richiamo tra poco.» «Buon lavoro commissario. A dopo.» «Anche a te detective». Roby, all’anagrafe Robert Lupini, era il migliore amico di Antonio, nonché l’ultimo rimasto, a pensarci bene. Si conobbero circa vent’anni prima, durante un’indagine di Antonio che doveva rimanere segreta e che rischiava di far saltare tutto per colpa di una fuga di notizie. Roby, dall’aspetto scostante e dall’aria scorbutica ma dall’animo buono, decise di aiutarlo e fece rimanere nascosta l’indagine. Potette farlo in qualità di capo redattore del quotidiano. Antonio ricevette come premio un’onorificenza e un aumento di stipendio. La prima cosa che fece fu andare in quell’alveare di palazzo che era la sua redazione e gli offrì un boccale di birra. Da quel momento furono inseparabili. «Roby, mi hai cercato?» «Ciao Vecchio. Solo per dirti che stasera giocano Liverpool e Chelsea nella FA Cup. La danno a Craven Pub. Ci facciamo una birra e ce la vediamo insieme?» «Solo se dopo passiamo...» «Certo, certo che ci passiamo.» Tagliò Robert «Non mi sembra che te l’ho fatto mancare qualche volta, o mi sbaglio?» «Ci vediamo lì allora, ti aspetto prima della partita.» «A dopo vecchio.» A Robert piaceva chiamarlo vecchio non tanto per l’età, avevano più o meno gli stessi anni, anzi Robert era più grande del suo amico di due mesi, ma perché a differenza sua, non si lamentava mai dei suoi acciacchi. E ne aveva anche lui, poteva giurarci. Antonio passò il resto della mattinata a pensare a Lory. Non sapeva perché, non gli aveva fatto tutto questo effetto appena incontrata. Una semplice chiacchierata come faceva sovente con qualunque altra persona lungo il tragitto verso l’ufficio o di ritorno a casa. Eppure quei capelli rossi, il modo in cui rideva. Ma a che stava pensando, non aveva tempo per queste sciocchezze. E soprattutto non aveva nemmeno più l’età. Eppure Lory... *** Quella sera, quando Antonio entrò al Craven Pub trovò il suo amico già curvo sul bancone con una pinta finita per tre quarti. Quando lo vide entrare si eresse cercando di mantenere un contegno che non aveva da molti anni ormai. «Vecchio, sono qui!» «Ti sei portato avanti con il lavoro, vedo!» Antonio si sedette accanto a lui, davanti ad un maxischermo che in quel momento stava proiettando spot pubblicitari su scommesse sportive. «Sono uscito prima dalla redazione oggi.» Rispose Robert. «Tu piuttosto, come te la passi? Ti vedo giù di corda.» Non aspettò la risposta di Antonio per scolarsi l’ultimo sorso di birra. Gli occhi cominciarono già a velarsi di quella patina trasparente che di solito non presagisce nulla di buono. Non reggeva più l’alcol come una volta e il peggio era che non si rassegnava a quell’idea. In questo il suo amico e lui erano uguali. «Solo qualche nottataccia di troppo. E la mattina non reggo più certi ritmi.» Fece intanto cenno al cameriere di raggiungerli. «Ma porca troia, stai a poche giorni dalla pensione. Perché non molli tutto e passi le carte a chi verrà dopo di te?» «Lo sto facendo. Ma credimi, non è così facile come sembra. A volte pecco ancora come i novellini al primo anno. Mi faccio trasportare dagli eventi e prendo le questioni quasi al livello personale.» «E’ la prima cosa che ti insegnano quando entri in accademia.» «Si, è la prima cosa che ti dicono. Ma con la vecchiaia sembra come se ricominciassi tutto daccapo.» «E’ il killer del centro storico?» «E’ lui.» Ammise Antonio. Non si accorse che nel frattempo era appena arrivato il cameriere per prendere le ordinazioni. Robert prese un’altra pinta chiara. Antonio ordinò, invece, una rossa doppio malto. A fine partita, terminata con un pareggio per 2-2, di pinte ne avrebbero scolate tre a testa. Uscirono dal pub verso le due di notte. «Vieni in redazione da me?» «Certo. Ma facciamo presto, altrimenti domani non mi alzo!» rispose Antonio. «Ti do uno strappo con la macchina, vieni Vecchio». Raggiunsero il parcheggio difronte il locale e salirono entrambi in macchina. Una vecchia utilitaria che Robert adorava tantissimo, anche se le condizioni in cui si trovava erano precarie. Al limite del pericoloso, giudicò Antonio. Sul paraurti posteriore aveva un adesivo con scritto: Stop alla violenza sulle donne. Da quello che ricordava Antonio, non aveva mai visto il suo amico in compagnia di una donna. Non aveva mai approfondito l’argomento perché lo riteneva un campo troppo pericoloso da attraversare. Magari avrebbe aspettato che fosse Robert a fare la prima mossa. D’altronde, era scapolo anche lui. *** Arrivarono in redazione e parcheggiarono proprio davanti l’entrata. Antonio aspettò fuori mentre il suo amico entrò nel vecchio edificio solo in apparenza dormiente. All’interno venivano concretizzate tutte le più importanti notizie della giornata e trasformate nero su bianco. Era come un palazzo magico, dove le cose astratte prendevano vita e diventavano vere. Fuori, il mondo come catalizzatore. Antonio si appoggiò al muro sotto le finestre del primo piano dove una decina di dipendenti stavano parlando tra loro. Una macchina in lontananza avanzava spedita nella sua direzione. Il semaforo lampeggiava, come a ricaricare le pile prima di affrontare un’altra caotica giornata di traffico da dirigere. Lui, l’assoluto e silenzioso scrum muster del quartiere. «Ecco a te, il giornale di domani!» La voce improvvisa fece sobbalzare Antonio. Soprattutto quando si accorse che non era il suo amico a parlare. Ma un ragazzino, che gli arrivava all’altezza della spalla e aveva metà volto coperto da un cappuccio di una felpa della Nike. «Il direttore mi ha detto di consegnartelo e che non poteva uscire perché era stato catturato al lavoro.» «Ok, grazie. E salutamelo se puoi.» Antonio prese il giornale e se lo infilò sottobraccio incamminandosi verso casa. Se procedeva a passo sostenuto sarebbe riuscito ad arrivare a casa prima delle tre di mattina. E questo significava avere qualche ora in più di riposo. Non che dormisse chissà quanto. Anche quando era giovane non si era mai considerato un dormiglione. Arrivò a casa, vuota e buia come era abituato a vederla da qualche anno a questa parte. Almeno da quando sua moglie Anna non si ammalò di cancro ai polmoni e dovette trascorrere gli ultimi 43 mesi in una clinica specializzata. Specializzata in cosa poi, se non in una dilazione della sofferenza. In quello erano stati bravi. Successe nel 2006 e ogni notte Antonio sognava di averla accanto nel letto. Non permise a nessun’altra donna di salire su quel letto. Non che ci fossero state tante altre opportunità per farlo, ma, diciamo così, non se le è nemmeno andate a cercare. E gli stava bene così. Quella notte era particolarmente stanco, decise così di rinunciare alla lettura delle news in anteprima (lo trovava un privilegio importante), e si coricò subito a letto. Prima di addormentarsi ripensò a Lory. Il mattino seguente perse l’autobus per pochi secondi. Lo vide allontanarsi mentre si trovava a una cinquantina di metri di distanza. A nulla sarebbe valso provare a correre come la mattina prima. Da lontano però vide che il bus era stranamente vuoto. A parte l’autista e una persona ricurva su se stessa che Antonio giudicò avere un’età avanzata. Seduta all’ultimo posto a sinistra, vicino l’ultimo finestrino sporco di pioggia e scritte indecifrabili. Stimò di avere almeno una decina di minuti di tempo prima che ripassasse di nuovo il 66- 6, così si sedette fuori di un bar vicino la fermata. Ordinò un caffè ristretto (lo prendeva sempre senza zucchero) e sfogliò distrattamente le pagine del giornale. Una notizia catturò subito la sua attenzione. Dapprima pensò di aver letto male, poi pensò ad uno scherzo (cosa che non abbandonò del tutto). Solo quando rilesse lo stesso titolo per ben quattro volte decise di staccare gli occhi dal giornale e vedere se stava sognando oppure era tutto vero. Lasciò il caffè sul tavolino senza nemmeno consumarlo. Vide un taxi passare lentamente nella sua direzione e fece cenno di fermarsi. Posò un euro sul tavolino del bar e salì a bordo. Arrivò in redazione dal suo amico Robert e salì direttamente al terzo piano. Sapeva dove si trovava il suo ufficio e non voleva perdere altro tempo. «Scusi, cerca qualcuno?» «Il vostro capo. Dov’è?» Il suo ufficio era vuoto. «Se cerca il signor Lupini è in Brasile per una serie di meeting.» «Ma che cazzo stai dicendo?» Antonio si girò verso la signorina, minuta e dai lineamenti graziosi, e le posò le mani sulla scrivania assumendo un atteggiamento tutt’altro che amichevole. Quando era in servizio come detective aveva usato spesso quella tecnica. E con ottimi risultati. «Questa notte è stato con me a prendersi una birra e poi è passato in redazione a darmi questo.» Le sventolò la copia del quotidiano davanti il naso, come se non l’avesse mai visto prima d’ora. «Il signor Lupini, Robert Lupini, è in Brasile da almeno una settimana. E dalle email che riceviamo da lui non tornerà prima del 23 signore.» La signorina, che sul cartellino attaccato sul petto aveva scritto Angela Fiore, cominciò leggermente a balbettare. «Da voi lavora un ragazzo, corporatura esile, che ieri indossava una felpa con il cappuccio?» Chiese Antonio, ma già sapeva la risposta. «Non mi risulta. Qui in redazione proprio no.» «Accidenti, grazie lo stesso. Proverò a chiamare Robert se ci riesco.» «Buona fortuna allora.» Angela era visibilmente meno preoccupata ora, forse per il fatto che la persona che aveva davanti stava per andarsene. Quando uscì dalla redazione aprì nuovamente il quotidiano. Come se questo potesse cambiare quello che c’era scritto all’interno. E infatti non cambiò nulla. C’era scritto: MORTO L’ISPETTORE DI POLIZIA ANTONIO DEL PRETE! Le circostanza sono ancora da chiarire, le autorità mantengono il massimo riserbo per quella che sembrerebbe essere un duro colpo per la polizia tutta e per le forze dell’ordine. Un destino beffardo quello che ha incontrato il commissario Del Prete, una carriera fatta di successi e riconoscimenti, un collega che non voleva distinzioni tra gerarchie all’interno del suo distretto e per questo molto ben voluto e amato da tutti. Destino beffardo perché tra pochi giorni avrebbe raggiunto il traguardo della pensione. Traguardo che, però, non raggiugerà mai più. Tutte le forze dell’ordine si uniscono in un abbraccio virtuale al commissario Del Prete. C’era solo un problema, la data dell’articolo era 22 Dicembre 2018, cioè domani. Come era possibile che un articolo riportava la data di un giorno che ancora doveva arrivare? E soprattutto: lui era VIVO! Se era uno scherzo era di cattivissimo gusto. Entrò nuovamente in redazione e si fece dare le indicazioni per raggiungere il reparto di produzione. Una volta arrivato prese una copia dal rullo dei giornali e aprì la prima pagina. Completamente diversa. Guardò in alto e vide che la data era 21 Dicembre. Allora com’era possibile che lui avesse una copia del giorno dopo? Quando quel ragazzino gli consegnò il giornale com’è che disse? «Ecco a te, il giornale di domani!» Ma erano le due di mattina passate e intendeva veramente il giornale di domani! Doveva parlare con Robert, ma più provava a chiamarlo e più non rispondeva. Ci avrebbe riprovato più tardi. Rassegnato, ma sempre più curioso di scoprire come era riuscito ad avere quel quotidiano tra le mani, e chi aveva scritto la notizia della sua morte, si incamminò verso il suo ufficio. Non aveva voglia di prendere l’autobus, quattro passi gli avrebbero fatto bene nonostante le temperature fossero scese di almeno dieci gradi rispetto alla settimana prima. Non si accorse dell’uomo che lo seguiva. E i suoi riflessi erano molto scarsi. Svoltò a destra e tagliò per il mercato comunale che era stranamente chiuso quel giorno. Facendo quella strada avrebbe risparmiato almeno dieci minuti di camminata, anche se quel tratto era leggermente in salita. Alzò lo sguardo, proteggendo gli occhi dalla luce del sole con entrambe le mani. Vide dei piccoli babbi natale appesi ai davanzali delle finestre. Altri invece avevano riempito i bordi dei balconi con luci natalizie intermittenti e dorate. Si sentiva stranamente rilassato e in pace con se stesso. Tra pochi giorni avrebbe salutato i suoi colleghi e si sarebbe goduto un po’ di meritato riposo. All’improvviso sentì una fitta di dolore intensa venire dalla schiena in basso. Poi una seconda poco più in alto. E prima che potesse girarsi una terza all’altezza della scapola destra. Tentò di portarsi una mano dietro la schiena ma sentì le forze venirgli sempre meno. La vista cominciava a farsi sempre più offuscata e una voce, dapprima lontana poi improvvisamente vicinissima, che lo insultava dandogli del porco poliziotto di merda. Quando la lama uscì dalla scapola di Antonio, fece un rumore come di un’affettatrice elettrica mentre taglia un insaccato. Uno zampillo di sangue rosso acceso fiottò fuori macchiando tutta la parte alta della sua schiena. Altre due macchie grandi quanto un palmo della mano continuavano ad allargarsi nella parte bassa. Quando rovinò a terra, riuscì appena a girarsi su un fianco e osservare l’aspetto di quello che a prima vista sembrava a malapena un ragazzo. Vide un cappuccio a coprirgli il volto. Gli ricordò il ragazzo che gli aveva consegnato il giornale la notte prima. Poi il buio! Quando si svegliò, il mattino seguente, non ricordava di nulla. I segni delle ferite sulla schiena non c’erano più e lui si sentiva in grande forma. Riposato. Arrivò alla fermata del bus addirittura in anticipo. Quando salì vide Lory seduta nello stesso posto nel quale ricordava di averla vista la volta precedente. Quando salì a bordo lei lo salutò con un lieve sorriso. «Come vedi ci rivediamo. Te l’avevo promesso, no?» «Beh, non era difficile dai. Prendiamo lo stesso autobus. Sono molte le persone che vedo quasi tutti i giorni salire con me.» Intanto le si sedette accanto. «Ma questa volta è diverso.» esclamò lei. «Io quando faccio una promessa la mantengo sempre. E’ sempre stato così, così sarà per sempre.» Era strano, ma quella mattina non la trovava più così attraente. Il suo sorriso era sempre magnetico, ma aveva qualcosa di maligno. Di ingannatore. Di inquietante. Poi improvvisamente capì perché. Non volle crederci ma quando si girò verso Lory lei fece cenno di sì con la testa. Come se gli avesse letto nella testa. E magari era pure così. «Sono... Io sono...» «Ti ho risparmiato un sacco di scocciature, credimi.» Improvvisamente il bus era deserto. Benché si trovasse in mezzo al traffico e quella doveva essere l’orario di punta per pendolari e studenti, a bordo di quel 66-6 non c’era anima viva. Viva, appunto. «Ti ricordi quando ci siamo incontrati la prima volta, un paio di mattine fa?» «Certo che mi ricordo.» Cominciava a tremare, anche se quella era una reazione tipicamente umana. «Sei caduto, dopo che io sono scesa dal bus. Rovinando a terra ti sei graffiato le mani con dei pezzi di vetro.» «Si, mi ricordo. Una bottiglia di qualche ubriacone. Ma che centra questo con...» «Non era una bottiglia Antonio. Quei vetri appartenevano ad una siringa infetta. Ho scelto io come dovevi morire e saresti deceduto esattamente tra due anni e venticinque giorni. Passando circa la metà del tempo su un lettino attaccato a dei tubi non avendo più nemmeno la forza di mangiare.» Quando Antonio si girò nuovamente verso Lory vide che era cambiata di nuovo. Adesso in mano teneva un lungo bastone (non ricordava di averlo visto prima) e cominciava anche ad assumere una postura ingobbita. Non eccessivamente, ma la bella e affascinante Lory di qualche giorno fa era solo un lontano ricordo. «Sei stato gentile con me quella mattina. Ogni tanto vi metto alla prova, e se riuscite a farmi sorridere, beh, diciamo che metto una buona parola con il destino e gli faccio cambiare idea. Così è stato per te. Un piccolo dono da parte della Morte!» concluse lei. Adesso aveva la pelle giallastra e raggrinzita. Il volto scavato e gli occhi fuori dalle orbite. «Hai domande?» incalzò lei. «C’è mai stato qualcuno che ti ha fatto cambiare idea?» Domandò Antonio. Lory, o chi cazzo rappresentava, scoppiò in una grossa risata. Una risata capace di far impazzire un uomo al solo udirla. «Io sono una semplice emissaria, caro mio.» Un piccolo vermicello le uscì dall’angolo della bocca. Quando vide la faccia inorridita del suo interlocutore Lory lo ricacciò dentro con la lingua. «Non sono io che comando, ma mio fratello. Lui ha il potere di cambiare le cose. Io posso cercare di allungare la pena il più possibile, posso inventarmi le modalità di morte più disparata. Posso decidere quanto e come soffrirete. Ma quando mi assegnano un nome... Quando mio fratello Destino sceglie un nome per me... Non ho mai fallito una missione». Ora la pelle di Lory era completamente sparita, sostituita da un viscido scheletro con le orbite vuote. Piccoli brandelli di carne stavano ancora attaccati intorno alle lunghe dita ossute delle mani e dei piedi. Quando si alzò vide che all’estremità del lungo bastone c’era una lama lunga e scintillante. La falce. «Io scendo alla prossima. Ah dimenticavo: il favore che ti dicevo. Con la tua morte hai contribuito a catturare il Serial Killer del centro storico, come lo chiamate voi. Pare che lavorasse come portantino dentro la redazione di giornali del tuo amico Robert. Un tipo strano, sempre con il cappuccio sulla testa. Ma non lo conosco molto bene, mio fratello non mi ha ancora chiamato per lui.» Antonio continuava a fissare la Morte inorridito e allo stesso momento affascinato. Quando guardò il sedile dove fino a poco prima sedeva lei vide una piccola pozza di liquido grigiastro. Puzzava di putrefazione. «E quel giornale?» chiese rivolgendosi nuovamente alla Morte. Ma se n’era già andata, lasciandolo solo con l’ultima domanda rimasta in sospeso. Si alzò, percorse il breve corridoio fino a raggiungere il conducente. Ma già sapeva di non trovarlo. Il volante si muoveva da solo e la strada che stavano percorrendo era scomparsa, sostituita da un buio intenso quanto avvolgente. Viaggiavano spediti verso l’oblio. Si sedette nuovamente, questa volta ai primi sedili, e attese il suo destino.
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